di Ninni Bruschetta
regia Ninni Bruschetta
con Antonio Caldarella, Maurizio Puglisi e Laura De Domenico
scene di Gigi Spedale e Ninni Bruschetta
con la collaborazione di Roberta Macrì
assistente alla regia Massimo Piparo
aiuto regia Guglielmo Margio
attrezzista Nino Mangano
direttore tecnico Gigi Spedale
direttore di palcoscenico Gianclaudio Attanasio
produzione (1989)
Note
Ogni volta che mi è capitato di scrivere un testo e poi rappresentarlo ho sempre cercato di separare il ruolo dell’autore da quello del regista. Mi costringo a scrivere senza neanche una didascalia per avere la possibilità di dimenticare il modo in cui, mentre scrivo, immagino si svolga l’azione. Sarebbe del tutto negativo farsi influenzare dall’autore, anche se io e lui siamo la stessa persona. Così il primo passaggio, subito dopo la stesura del testo e prima della regia, è quello di una rilettura pura da cui scaturiscono riflessioni teoriche che sono strumenti per l’interpretazione registica.
La storia di Tre fogli bianchi è del tutto plausibile, è costruita con quel carattere di generalità che ricorda, per il suo scopo, quello della norma giuridica. È ideata affinché lo spettatore via si identifichi, lo stesso procedimento con cui il ‘fatto giuridico’ trova riscontro nella norma. A questa plausibilità si oppone e si sovrappone quel genere di astrattezza tipica di un certo teatro contemporaneo, quel modo cioè di interpretare che va oltre la descrizione degli eventi e si proietta nella rappresentazione pura, quella che potremmo chiamare narrazione antididascalica.
Il tempo è dilatato e lo spazio è compresso. Il motivo di questa scelta incoerente non ha un vero e proprio fondamento teorico, la storia copre un arco di circa sei anni, ma l’azione si consuma in pochi giorni. Nella prima parte dello spettacolo ci troviamo infatti di fronte altre ellissi temporali: la sera prima, la giornata e il mattino dopo. Nella seconda parte (un ideale secondo atto) l’azione si svolge in tempo reale. Ma a distanza di dieci anni da quella precedente. Ci troviamo davanti a una situazione tipo: uno stralcio emblematico di ‘vita a tre’ nella prima parte, l’avvenimento vero e proprio nella seconda; laddove l’avvenimento unico e sovrano è il ‘non accadere’, il ‘non mutare’. In tutto questo il tempo esaurisce il suo ruolo trasformandosi ellitticamente in un occhio maligno che coglie all’interno di due vite insignificanti quindi difficili da narrare, gli unici momenti in cui la loro insignificanza è espressa e dichiarata dal procedere dei fatti.
Lo spazio continua a essere negazione di se stesso. È uno spazio chiuso e aperto.
Gli attori si muovono seguendo un tracciato che riproduce la pianta di un appartamento. C’è una regolarità dell’azione dettata dallo spazio, una contraddizione tra la plausibilità del gesto e lo spazio limitante che ne è cornice al tempo stesso.
La contraddizione dello spazio si evince anche dalla scelta cromatica che caratterizza la messa in scena.
Ninni Bruschetta