di Beniamino Joppolo
drammaturgia di Ninni Bruschetta e Francesco Calogero  
regia Ninni Bruschetta

con 

cast alle Orestiadi di Gibellina del 1994
Antonino Iuorio, Massimo Piparo, Vincenzo Tripodo
Cristina Liberati, Simona Caramelli
e Maurizio Puglisi

cast stagione 93/94
Massimo Reale, Vincenzo Tripodo, Sabina Vannucchi, 
Simona Caramelli, Massimo Piparo
e Maurizio Puglisi 

cast stagione 94/95
Antonino Iuorio, Vincenzo Tripodo, Giselda Volodi, 
Irene Ivaldi, Massimo Piparo
e Maurizio Puglisi

scene Giancarlo Muselli 
costumi Metella Raboni 
luci Domenico Maggiotti
direzione artistica Antonio Caratozzolo
produzione Gigi Spedale (1994)
in collaborazione con Ente Teatro Vittorio Emanuele di Messina


Note di regia

Non è possibile pretendere l’attenzione del pubblico mettendolo di fronte ad esperienze che ha già fatto: è necessario passare attraverso la poesia se la metà rimane quella di riflettere sulla realtà. La struttura drammaturgica e il nudo racconto de “I carabinieri” di Beniamino Joppolo esprimono oggi più che mai la loro modernità, la violenza e la crudeltà della società “civile” contemporanea così come la potrebbero descrivere le parole di un grande film di Francis Coppola, Apocalypse Now: “questi sono uomini che sanno amare, che hanno moglie e figli (…) che sono capaci di uccidere, senza discernimento, si … discernimento”. 
La guerra contemporanea, la guerra porta a porta, uomo contro uomo, quella guerra che, dagli anni del Vietnam alla più recente tragedia juogoslava, è diventata la valvola di sfogo attraverso cui le grandi potenze economiche riescono ad equilibrare il sistema internazionale, a discapito dei più elementari diritti umani, è la vera realtà, è l’unica rappresentazione, priva di contraddizioni, del marciume di un sistema economico e sociale. 
Attraverso questa riflessione sociale, che Joppolo ambienta in un piccolo paese della Sicilia dei primi del Novecento, si giunge all’interno dei sentimenti più grandi che emergono nel cuore di una società in crisi: l’amore di una madre per i figli e lo scontro frontale tra il suo amore irrazionale ed il violento istinto di sopravvivenza che ha fatto di lei una donna e dei suoi bambini veri uomini. 
Joppolo esprime tutto questo con un’ironia tragica che appartiene alle sue origini e che probabilmente lo tiene lontano dalla popolarità negli anni in cui visse. È l’autore teatrale di cui avremmo bisogno: la sua scrittura attraversa il fatto sociale per mezzo di un sistema poetico indipendente. Joppolo mette a disposizione dei suoi interpreti un’arma perfetta, addirittura un metodo espressivo, che riesce a tenere unite le ragioni dell’arte a quelle della vita, quelle dell’artista e della società e, più di ogni altra, la profonda ragione del teatro e quella del suo pubblico. 
Attraverso la realizzazione – avvenuta nel 1963, su impulso di Roberto Rossellini – del film Les Carabiniers, Jean-Luc Godard ricercò una maniera oggettiva di filmare la guerra. Rispettando pienamente – pur stravolgendone la drammaturgia – l’idea di Joppolo, Godard lasciò l’occhio ella sua macchina da presa alla giusta distanza dalla tragedia della guerra: “Né troppo lontani, né troppo vicino. Da troppo lontano non si sarebbe visto niente, è da troppo vicino sarebbe stato commovente, oppure orribile”. 
Era esattamente questa l’intenzione di Joppolo, la sua distanza dal problema era quella di chi prova orrore e di chi è consapevole di cosa sia l’orrore. 
La drammaturgia de “I carabinieri”, da questo punto di vista, è ai limiti della perfezione espressiva, e per questo motivo si presta a qualunque adattamento, laddove l’adattamento non è altro che la volontà dell’interprete di mantenere la stessa distanza dai fatti, perché quei fatti sono emozioni, sono verità, la cui potenza non deve essere alimentata, né ridotta. 
I rumori della guerra che entrano nelle case, tramite la televisione, sono rumori diversi da quelli che noi bambini avevamo tratto dall’immaginario cinematografico; sono rumori veri, orrendi, sono immagini di persone che scappano in mezzo a una strada senza sapere dove cadranno le bombe, persone che stanno vivendo, che hanno in mano la borsa della spesa, che studiano, che vanno al lavoro. 
Michelangelo e Leonardo – i due giovani che il Re, per bocca dei due carabinieri, chiama alla guerra – sono lo specchio della nostra incoscienza. Sono loro che nel corso dei tre atti del dramma vivono lo sconcertante passaggio tra l’immaginazione e la realtà. L’entusiasmo con cui accettano di essere arruolati si trasforma nella loro misera fine, proprio come l’immaginazione si frantuma di fronte alla crudezza della realtà. Lo spazio che rimane per la poesia, in questo genere di messa in scena, è limitato alla partecipazione del pubblico, alla sua coscienza. Il teatro ha l’obbligo di intervenire, l’arte può riscoprire valori che la grande macchina economica e sociale sta calpestando, da quello indispensabile della libertà a quello, molto più semplice, della vita.
Ninni Bruschetta 
Francesco Calogero


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