Regia: Francesco Calogero
Soggetto e sceneggiatura: Ninni Bruschetta, Francesco Calogero
liberamente ispirato a Il libro dell’inquietudine di Fernando Pessoa

Personaggi e interpreti
Giorgio, correttore di bozzeMaurizio Puglisi 
Carlo, edicolanteAntonio Alveario 
Giuliana Carini, giornalistaRosalba Scimone 
Irene Della Pace, pianistaDaniela Pacetto 
Mario, professoreNinni Bruschetta 
Federico Cami, giornalistaAntonio Caldarella 
Protti, vecchio correttoreSalvatore Ferrara 
DimafonistaPatrizia Salerno 
TastieristaFabio Blandini 
Segretaria di CamiLaura De Domenico 
Correttore di bozzeMassimo Piparo
GiornalistaCarlo Infante 
FattorinoAnnibale Pavone 
PoligraficoMichele Trimarchi 
Portiere del giornaleVincenzo Bonaventura 
Uomo nell’ascensoreGuglielmo Aloisio 
Operaio della SipGigi Spedale 
Critico d’arteMargherita Smedile 
Addetto al faxFulvio Gemelli 
Ragazza in difficoltàAdriana Galbo 
1° cliente dell’edicolaMatteo Moraci 
2° cliente dell’edicolaCarmelo Marabello 
1° bambinoFilippo Ricapito 
2° bambinoAndrea Bellantone 
BambinaSelenia Marabello

Produttore esecutivo: Gianni Raimondo 
Fotografia: Franco Lecca 
Suono in presa diretta: Alessandro Zanon 
Musica: Fabio Blandini 
Montaggio: Roberto Schiavone 
Assistente alla regia: Carmelo Marabello 
Aiuto regia: Guido Anelli 
Assistente operatore: Giulio Bastioni 
Microfonista: Angelo Amatulli 
Fotografi di scena: Michele Trimarchi, Luciano Marabello 
Assistente al montaggio: Paola Gigli 
Art design: Mariella Bellantone 
Segretaria di Produzione: Loredana Cipitì 
Consulenza musicale: Michele Trimarchi, Rocco Bruno 
Valse-caprice op.30 (Gabriel Fauré) eseguito al pianoforte da Donatella Salvà 
Registrazioni musicali: Studio Isola, Messina 
Sax solista: Massimo Piparo 
Tecnico del suono: Gigi Spedale 
Pellicola: Kodak Eastmancolor 
Sviluppo e stampa: Telecolor 
Sonorizzazione: Fonorete 
Fonico di missaggio: Adriano Taloni 
Titoli: Video Gamma 

Origine: Italia, 1987 – 16 mm (1:1,33) – colore – 80’ 
Produzione: Arte & Spettacoli, Messina 
Distribuzione: Biograph


Prima mondiale: 24 settembre 1987, Festival Internazionale del Cinema di San Sebastian (Spagna).
Prima italiana: 15 ottobre 1987, Festival Internazionale Cinema Giovani, Torino.
Selezionato anche ai festival internazionali di San Francisco, Hong Kong, Amburgo e Galway (Irlanda). 

Nominato ai Nastri d’Argento per la miglior opera prima, viene premiato come miglior film indipendente dell’anno al festival di Bellaria, con il Laceno d’Oro ad Avellino, il Delfino di Bronzo e il Premio Fipresci al festival di Troia (Portogallo), e con il Sacher d’Oro per il miglior esordio nella prima edizione del premio istituito da Nanni Moretti.


Ah, noi che abbiamo voluto apprestare
il terreno alla gentilezza,
noi non abbiamo potuto essere gentili.
Bertolt Brecht, A coloro che verranno


Sinossi

Giorgio fa il correttore di bozze per un quotidiano di provincia: e lo fa con grande attaccamento, considerandolo quasi una missione, paradossalmente anche più importante rispetto al lavoro di un giornalista. Con l’amico Carlo, bizzarro edicolante, si interrogano sugli esiti del concerto di Irene della Pace: Giorgio suppone che la graziosa pianista non rischi di venire stroncata dall’austero critico musicale Federico Cami, che generalmente non va a sentire gli esordienti. Ma il giorno dopo, mentre corregge le bozze, Giorgio s’imbatte proprio nella recensione di quel concerto a firma “F.C.”: la cosa è sorprendente, considerate le premesse, e ancor di più vista la natura di alcuni termini impiegati. Forse c’è un errore. Istigato da Carlo, Giorgio si mette ad indagare: i due si introducono a turno nell’ufficio di Cami, riuscendo però solo in parte a raggiungere i loro intenti. Intanto Giorgio conosce Giuliana, a cui ha modo di esporre la sua personalissima filosofia di vita. Per scoprire se esiste qualche legame fra la pianista e Cami, Giorgio non esita a spacciarsi per giornalista. Neanche un maldestro pedinamento porta però ai risultati sperati. Alla fine sarà Carlo a compiere un’importante scoperta: ma altrettanto fa Giorgio, grazie ad un casuale incontro al giornale, e ad una discussione chiarificatrice con il vulcanico Mario, un professore con la passione del teatro. Ulteriori colpi di scena portano la vicenda verso un amaro finale.


Galleria


Rassegna Stampa


Gianni Canova, “il manifesto”, 28 luglio 1987

[…] Su un registro che mescola abilmente Moretti e Rohmer, Calogero lavora con leggerezza, passando dall’ironia burlesca all’amarezza esistenziale e rivela, per l’appunto, un “tocco” degno della massima fiducia e attenzione […]


Franco Cicero, “Gazzetta del Sud”, 29 luglio 1987

[…] Pervaso da una sorta di “neorealismo magico”, una definizione degli elementi metafisici della vita di tutti i giorni attraverso la sottile funzione dell’intelligenza e dell’ironia […]


Serge Daney, “Libération”, 30 luglio 1987

[…] Vi è una nitidezza di tratto, un aggancio al sociale, un’arte dell’incertezza identitaria (Pessoa è citato), un gusto del frammento fatale […]


Francesco Tramontana, “Giornale di Sicilia”, 1 agosto 1987

[…] Basato su un plot ben costruito che del giallo conserva lo schema logico narrativo, La gentilezza del tocco è un film misurato, che trova il proprio punto di equilibrio nella capacità, dimostrata dal regista, di coniugare contenuti assai profondi ad una storia senz’altro avvincente […]


Giovanni Spagnoletti, “L’Unità”, 27 settembre 1987

[…] Bisognerà innanzitutto lodare l’originalità della sceneggiatura che contamina con gentilezza di tocco elementi comici e mistery alla consueta ricognizione micrologica sui personaggi. Il film di Calogero funziona soprattutto su alcune riuscite, divertenti gag e sul sicuro ritmo della scrittura cinematografica […]


Renzo Fegatelli, “La Repubblica”, 30 settembre 1987

[…] Divertente, e a momenti intrigante per alcuni risvolti gialli, (…) il racconto è sempre spiritoso e gli attori brillanti […]


Lino Micciché, “Avanti!”, 4 ottobre 1987

[…] Per i risultati raggiunti, assolutamente apprezzabili, un gesto di coraggio produttivo e registico che, nel nostro cinema, va segnalato fra gli avvenimenti dell’anno […]


Stefano Reggiani, “La Stampa”, 17 ottobre 1987

[…] Una specie di commedia metafisica sugli errori che cerca l’ironia dei dialoghi e delle situazioni (strizzando l’occhio a Woody Allen oltre che al canonico Moretti). (…) Calogero è uno su cui far conto (guardate, per dire, come sa far muovere le fronde degli alberi siciliani, era dai tempi dell’Avventura che gli alberi siciliani tacevano) […]


Renzo Gilodi, “Cinecritica”, ottobre‐dicembre 1987

[…] Il film ha caratteri ben lavorati, un dialogo fitto ma controllato, stile semplice ma sufficientemente narrativo ed esposto, senso personale dell’ironia e soprattutto quel continuo scarto che diremmo ontologico, spiazzante, che Calogero ha saputo intuire e sfiorare in modo sorprendente […]


Vincenzo Bonaventura, “Rivista del Cinematografo”, gennaio 1988

[…] Quello che conta è l’atmosfera che per cenni e allusioni, quasi senza sembrare, ci racconta dell’imperfezione del vivere. È un film molto cecoviano, se si vuole, per i non accadimenti che si nascondono sotto un’apparente azione […]


Peter Scarlet, “SFilm Festival Guide”, marzo 1988

[…] Questa vivace, inventiva produzione indipendente è uno dei più promettenti segni arrivati dall’Italia da parecchi anni a questa parte. La gentilezza del tocco riesce a fornire un fresco ritratto di quella Sicilia che il cinema spesso dipinge come esclusivo dominio di pastori e mafiosi […]


Herb., “Variety”, 29 marzo 1988

[…] Questa produzione tutta siciliana, che nulla a che fare con greggi o padrini, ha il piglio di una screwball comedy degli anni ’30. (…) Tutto è leggero, e si muove velocemente, sorretto da una lieve colonna sonora jazz fatta di sax e pianoforte. (..) Il film possiede una sana innocenza, un vero tocco gentile […]


Alberto Artese, “Il Resto del Carlino”, 7 maggio 1988

[…] Un film che non si può ridurre a un’etichetta di genere, così pieno di risvolti psicologici e di motivi drammatico‐esistenziali (molti interni, piani ravvicinati “chiusi” sui personaggi, movimenti di macchina avvolgenti, poco interesse per gli sfondi urbani e sociali), nonché di riferimenti letterari e cinematografici […]


Pedro Borges, “JL”, 28 giugno 1988

[…] Calogero sa organizzare con innegabile senso umoristico i riferimenti cinefili più disparati, senza perdere di vista il fatto che il cinema è un’arte desiderosa di trovare la verità laddove questa cerca di scappare […]


Giovanni Bogani, “La Nazione”, 7 luglio 1988

[…] Ciò che Calogero possiede è il senso del ritmo, la capacità di scrivere bei dialoghi, e aver saputo mantenere forte e reale il senso d’oppressione, di squallore e di ristagno vitale di una qualsiasi provincia del sud; ma in essa, di aver saputo scavare una storia che è insieme un congegno elegante e una metafora sugli imprevisti corti circuiti del destino, che ci portano a cercare qualcosa e a trovarne mille altre […]


Giovanni Buttafava, “L’Espresso”, 25 settembre 1988

[…] Si avverte una inedita grazia, fragile e irresistibile, il profumo discreto di una Piccola Italia intellettuale insospettata nella Gentilezza del tocco, il miglior film italiano “indipendente” – cioè invisibile – dello scorso anno, costruito con sapienza narrativa e grande amore, senza allontanarsi mai da Messina […]


Alberto Farassino, “La Repubblica” (inserto “Tuttomilano”), 20 ottobre 1988

[…] Il regista si tiene in equilibrio sui suoi personaggi: da un lato ne accetta e ne asseconda la natura letteraria e un po’ artificiale, dall’altro li guarda con distacco, divertimento e ironia. Appunto, un po’ di Moretti e un po’ di Rohmer. E sorprendentemente il miscuglio funziona […]


Fabio Ferzetti, “Il Messaggero”, 25 ottobre 1988

[…] Il gusto per le adolescenti, l’esattezza dei dialoghi e il sapore squisitamente morale della vicenda sono di stampo rohmeriano. Invece che a Parigi, però, siamo a Messina e al posto della stringente dialettica francese ci sono svagatezze e folgorazioni di inconfondibile ceppo siciliano. (…) Calogero ha le qualità che mancano a tanto nuovo cinema italiano. Humour, finezza, capacità di conciliare chiarezza e allusività […]


Mario Sesti, “Paese Sera”, 25 ottobre 1988

[…] Calogero ha un vigile controllo dell’umorismo e dell’intrigo, che sono le qualità dominanti del film. (…) Dal finale esala un silenzioso apologo sulla vanità di tutte le ricerche ossessive della verità, in cui scetticismo e ironia si mescolano e si dissolvono un attimo prima di diventare una massima. (…) I pregi più evidenti del film sono la nitidezza, la precisione e il controllo con cui Calogero usa il suo cinema ancora esile, per le sue idee già ben visibili. Per favore, non perdetelo […]


Callisto Cosulich, “Paese Sera”, 13 novembre 1988

[…] Last but not least, la sorpresa destata da un film come La gentilezza del tocco, questo sì marginale e “decentrato”, che – a mio avviso – costituisce il debutto più significativo registrato dal nostro cinema dopo quello, ormai lontano, di Nanni Moretti col lungometraggio in superotto Io sono un autarchico […]


Silvana Cielo, “Filmcritica”, ottobre‐novembre 1988

[…] Calogero costruisce un film di suspense e tremori, e i due aspetti sono uno (per questo il film è fuori dai generi) indissolubili. Sono i tremori a generare la suspense, la paura‐amore della vita a far vivere il correttore di bozze e il cinema di Calogero. (…) Vera lezione “italiana”, una volta tanto, al cinema che fa vedere il minimalismo americano […]


Emanuela Martini, “Vivilcinema”, dicembre 1988

[…] La gentilezza del tocco prende le distanze dagli esibizionismi intellettuali e dalle conseguenti ingenuità, per attenersi più rigorosamente e semplicemente a un tracciato di finzione e a un’esattezza di ambientazione insolita e rara nel cinema italiano contemporaneo […]


Sandro Anastasi, “Gazzetta del Sud”, 2 dicembre 1988

[…] Esaltando la poetica e cantando la fantasia della vita reale, Calogero definisce il suo teorema filmico e affida all’opera un impasto di sentimenti e sensazioni, che vanno dalla gioia all’infelicità, dal dubbio alla certezza, dalla persuasione all’emozione […]


Angela Zamparelli, “Segnocinema”, gennaio 1989

[…] Il sistema di Calogero è delicato e pieno di invenzioni, etereo e inafferrabile, ricco di dialoghi arguti e musicali come i film di Rohmer. (…) Il segreto di tutto ciò? La “gentilezza del tocco”, che non è una frase sfuggita a un correttore di bozze distratto, ma è la migliore definizione per il film di un esordiente che promette molto […]


Gregorio Napoli, “Giornale di Sicilia”, 24 aprile 1989

[…] Un’indagine che Calogero sviluppa con umorismo sopraffino, giostrando abilmente coi sentimenti dei vari personaggi, disegnati tutti in punta di penna, fra osservazioni argute e sollecita percezione del loro profondo dolore esistenziale […]


Alessandro Rais , “L’Ora”, 30 aprile 1991

[…] È un noir originale (…) che si fa apprezzare per la invidiabile freschezza ideativa e la raffinata scrittura. (…) Pervaso da una forte vena ironica e citazionista, a cominciare dalla rivisitazione dello stilema del giallo di ambiente giornalistico (…) non può non ricordare certi pedinamenti truffautiani, il gusto degli incontri di certi film di Rohmer, alcuni ellissi narrative (e visive) del cinema di Bresson […]


Cristina Piccino, “il manifesto”, 1 luglio 1993

[…] Il lavoro sul linguaggio è uno degli elementi forti nella Gentilezza del tocco, vero oggetto marziano in un cinema italiano “giovane” ancora bloccato. (..) Nei modi di racconto, nella capacità di cogliere sottili sfumature del caso e del cuore, raccontando in profondità una generazione colta nel suo essere, ancora non consapevole (e distante) di se stessa […]


Emiliano Morreale, “Lampi sull’isola”, settembre 1996

[…] La struttura da “mistery” si corregge subito con la commedia degli equivoci, verso il giallo‐rosa, seguendo una costruzione particolarmente aggraziata e “musicale” (all’inizio viene esplicitamente citato Lubitsch, e intorno alla musica ruota tutto l’intreccio), giocando con le fonti più varie in un rapporto libero. (…) Lo “squilibrio” del cinema di Calogero è l’altra faccia dell’impossibile congiungimento con la realtà da parte dei mondi linguistici dei suoi personaggi […]


Alain Bichon, “Les années Moretti. Dictionnaire des cinéastes italiens”, settembre 1999

[…] Calogero conferma in questo pseudo “film noir” una sensibilità rara nell’arte di maneggiare lo schizzo, l’ellissi e una sottile ironia. Un film pieno di riferimenti letterari e cinematografici che non sminuiscono però l’originalità e il rigore dell’approccio […]



UN ESORDIO CONVINCENTE
Donald Ranvaud intervista Francesco Calogero


L’esperienza del super8 ti ha aiutato in qualche misura? Voglio dire, molto spesso la necessità è madre dell’invenzione, e lavorando in super8 si esplorano universi particolari, mentre viceversa vantaggi estetici possono derivare da un budget più ampio…
L’esperienza del super8 è stata fondamentale, un tirocinio utilissimo. Sui miei set si svolgeva abitualmente una sorta di guerriglia urbana, e nel pandemonio generale dovevo prendere decisioni rapide e irrevocabili. È stato un esercizio utilissimo per risparmiare tempo e denaro, ti aiuta a risolvere il più brillantemente possibile situazioni intricatissime. I vantaggi estetici sono poi tutti derivati dalla possibilità di lavorare in 16 mm e non certo dal budget più ampio, perché fatte le debite proporzioni, il budget era stretto tale e quale ai precedenti. Dal punto di vista della rapidità di lavoro non mi sono accorto che qualcosa fosse cambiato, la guerriglia continuava.


Come nei tuoi precedenti super8, emerge anche qui la tentazione di fare un film di citazioni. Solo che qui sono più funzionali, più integrate…
È chiaro che l’esperienza precedente mi è molto servita, soprattutto al momento della scrittura. E poi all’inizio si ha sempre voglia di dire le cose direttamente, di sparare in faccia agli spettatori senza tanti pudori. Una volta esorcizzata questa situazione, tutto fila via meglio…


Come hai messo su la produzione? E come è avvenuta la scelta degli attori?
Tutto è nato in maniera abbastanza inusuale. Io non avevo in mano nessuna sceneggiatura e non avevo bussato a nessuna porta. È stato Ninni Bruschetta a parlare di me al produttore del film, Gianni Raimondo, il quale, dopo essersi occupato di fatti teatrali, era molto interessato anche al cinema. La somma a disposizione del film non era altissima e tra l’altro io non avevo nulla di pronto, ma l’occasione era imperdibile. S’è fatto a tempo di record: tutto è iniziato esattamente un anno fa. Durante le vacanze di Natale, io e Bruschetta abbiamo scritto la sceneggiatura, ai primi di gennaio abbiamo messo insieme la troupe assemblando staff tecnico romano e attori messinesi ‐ tutta gente che aveva lavorato con me nei super8, o con Bruschetta in teatro, oppure esordienti assoluti ‐ il 26 gennaio abbiamo cominciato a girare, il 14 febbraio avevamo già finito. Il tempo di montarlo e missarlo…


Parliamo del lavoro sulla sceneggiatura, il rapporto con l’opera di Pessoa…
Noi siamo partiti da un nulla, una casuale osservazione sulla macchina per scrivere elettronica che si vede nel film: le parole battute restano perfettamente leggibili sul nastrino. Un’idea buona per un giallo ambientato nel mondo giornalistico, per esempio. Poi, cammin facendo, come sempre accade, le cose si sono un po’ evolute. Specie per il fondamentale apporto fornitoci dal nostro prediletto amico Fernando Pessoa. Il Bernardo Soares del Libro dell’inquietudine somigliava troppo al nostro Giorgio, è anche lui un puro folle, con quelle sue idee sui sensi, poi … il rapporto tra i due era straordinariamente evidente.


Ecco, i sensi, il tatto, mi sembra importante questo discorso…
Infatti. Tra i cinque sensi il tatto è forse quello meno esplorato dai cineasti, o per lo meno non è mai il motivo centrale di un film, a differenza magari della vista, o dell’udito (ad esempio BIow Out) o del gusto (La grande abbuffata) o addirittura dell’olfatto ‐ ricordi Polyester di John Waters, girato in “odorama”? Giorgio rivendica la preminenza di quelli che considera sensi nobili, il vedere, il sentire, su un senso così poco selettivo, così uguale per tutti, come il tatto. In una società sempre più computerizzata, in un ambiente come quello del giornale, dove tutto intorno a lui è elettronica e tastiere, lui ha ancora la sua penna, “le sue manine”, come dice il professore, e vive un rapporto fisico, per di più conflittuale, con quanto di meno fisico ci sia, le parole. E naturalmente, le cose non vanno meglio con le persone: la sua vita è all’insegna della paura di toccare e di essere toccato, l’angoscia di stare dentro alle situazioni, piuttosto che osservarle dal di fuori. Ecco il perché di un finale così duro, così poco conciliante.


Già, in tutti i tuoi film il finale è pessimistico, anche se animato da colpi di scena…
È vero, quella dei colpi di scena finali è una caratteristica che lega a questo film sia La caviglia di Amelia che Bionda per un giorno. Sul pessimismo non sono del tutto d’accordo: in tutti questi casi trovo che ci sia qualcos’altro, un’autogiustificazione, una consolazione del tipo “non tutto il male viene per nuocere”. E comunque c’è sempre una possibilità di salvezza, ed è la possibilità che ha la mente di crearsi un mondo tutto proprio, che non corrisponde con la realtà vissuta quotidianamente.


Trovo che in questo film sia importante il ruolo svolto dalla musica…
Sì, la musica è stata composta con un filo di ironia, è un prolungamento del discorso sulla deriva dei generi che è presente nel film: ad esempio, nella scena notturna dello studio di Cami, per accentuare la situazione parodistica ho chiesto a Fabio Blandini un ritmo jazzato, quasi da film giallo. Lui ha comunque sempre unito le mie esigenze alle sue, e il risultato finale mi sembra tutto sommato soddisfacente. L’ho poi costretto anche a fare l’attore, nel ruolo del tastierista del giornale: mi divertiva l’idea di giocare ulteriormente sull’equivoco che sorge nel film sulla parola “tastierista”.


Ecco, il grande giornale, le strutture ultramoderne che appaiono in questo film, sembrano voler contribuire a fornire un’immagine della Sicilia fuori dagli stereotipi. È tutto voluto?
Non mi interessava fare un discorso sulla sicilianità, anche nella consapevolezza che questo emerge ugualmente da altri fattori: la produzione è siciliana, e così gli attori, e il film è interamente girato in Sicilia, badando però ad evitare i luoghi comuni. Della Sicilia in sé mi interessava di più l’aria, la luce.


A questo punto sorge spontanea una domanda: dove ti collochi nel panorama del cinema italiano?
Domanda troppo difficile. Credo di non essere la persona ideale per rispondere a questo, dovrebbe farlo qualcun’altro.


Ho un ultimo dubbio, che non mi lascia dormire la notte: qual è l’aneddoto del telegramma di Bismarck?
Strano che tu non lo conosca… si riferisce alla guerra tra Prussia e Francia… è un aneddoto molto famoso… però in questo momento non me lo ricordo…


Roma, novembre 1987