di Pino Censi
regia Pino Censi
con Pino Censi
elaborazione sonora Gerardo Greco
direzione tecnica Paolo Attardo
organizzazione Maurizio Puglisi
produzione (2001)


Note di regia

Lo spazio scenico è vuoto, solo due sedie in un angolo. 
È tutto volutamente concentrato sul lavoro dell’attore (raccontatore) e sulla forza espressiva ed evocatrice delle parole dei “Quaderni” che ricreeranno spazi, luoghi e situazioni reali o forse frutto delle alterazioni fantastiche di Nijinsky. 
Parole che agiranno sull’immaginazione attiva dello spettatore “spione”. 
Ho pensato, nell’interpretazione e anche in qualche modo per la messa in scena, a quei personaggi astratti e metafisici di Beckett: Nijinsky, per esempio, come Winnie di “Happy days”. 
Come Winnie che passa i suoi “giorni felici” (forse un diario) chiusa e vieppiù sepolta nelle sue ansie, angosce, paure e impossibilità esistenziali, che lotta con disperazione contro l’assurdo, contro il tempo, anche se sa che è destinata a perdere; così Nijinsky: i suoi quaderni (chissà se anche per lui appunti di giorni felici!) non sono altro che medicamenti al suo claustrofobico e asfissiante disagio che lo sovrasta e che alla fine lo opprimerà annientandolo. 
Nello spettacolo si cercherà di restituire il senso di “chiuso”. 
Nijinsky è come se fosse in una scatola, coatto dentro la sua stanza, costretto in un luogo delimitato è circoscritto dove sperimenta l’impossibilità di trovare una via d’uscita. 
C’è la difficoltà tutta romantica dell’artista iconoclasta che non riesce a coincidere con la realtà ma anche la modernità dell’andamento schizofrenico del pensiero contemporaneo, gli slanci disgustosamente lirici e patetici e una incredibile capacità di auto-analisi; soprattutto ciò una spietata voglia e necessità di assoluto (… “io sono Dio”, “Dio è in me”, … “io voglio essere Dio” ecc.). 
Ritengo inoltre che Nijinsky sia un incorreggibile simulatore; la sua follia, come quella di molti altri eroi (e penso a personaggi della letteratura teatrale) non è altro che una geniale “fuga”. 
Come in “Psycho” egli rievoca e recupera dentro la sua malattia, dentro se stesso, in modo paranoico, le persone e gli avvenimenti che gli hanno segnato la vita, ma alterati e deformati attraverso la lucidità del suo giudizio critico: quindi per esempio Diaghilev è di sicuro una persona cha Nijinsky ha molto amato (forse più della propria moglie) ma come in tutti i meccanismi amorosi egli ne vuole restituire prima di tutto a se stesso un aspetto inquietante, malato e negativo; invece di contro, fa della madre una sorta di santino aureolato spesso succube delle convenzioni ma pieno di amore, compassione e comprensione. Questo si cercherà di recuperarlo nella recitazione delle emozioni, sia nei discorsi diretti, nei dialoghi simulati e nel racconto, facendo rivivere nel momento stesso della formulazione del pensiero, ma soprattutto attraverso le parole, quei “flash” e quegli stati interiori provati e accaduti nel passato.
In questa fase di passaggio e negli anni di un secolo che si è chiuso, trovo molto importante recuperare e sviluppare col mio lavoro una riflessione sull’artista russo figura/simbolo del ‘900. 
Ho scelto musiche di Igor Stravinsky.



Rassegna Stampa